giovedì 25 aprile 2013

DISCORSO DEL 25 APRILE 2013 DEL PRESIDENTE ANPI DI TREZZO SULL’ADDA





Il 25 aprile cade in un momento di gravissima crisi per il Paese: pesante instabilità economica, un livello occupazionale mai così basso, una situazione che costringe molte famiglie addirittura al livello della disperazione, uno scenario politico segnato da una devastante confusione, da una forte caduta di valori e infine da una diffusa rabbia sociale – derivante da una pesante incertezza del futuro – che spesso si traduce in atti e linguaggi di preoccupante violenza.

Siamo oggi  qui ad auspicare e a cercare di realizzare, con la partecipazione e l’impegno individuale nella vita quotidiana,  un sentiero di profonda inversione di rotta e solida ricostruzione nel  sentiero tracciato dalla Costituzione - ancor ‘oggi disapplicata e ignorata quando non avversata - unica garanzia di un Paese libero, civile e cosciente.

L’Italia ha bisogno di ritrovare i punti fermi di una democrazia normale. Un Parlamento che funzioni nella serietà e nella trasparenza, di una politica “buona”, di organi di garanzia che fondino la loro autorevolezza sul richiamo ai valori della Costituzione nata dalla Resistenza.

I valori  per i quali coloro, i cui nomi sono impressi in quella lapide e su molte altre in Italia e non solo, hanno combattuto e sono morti. Quei valori  devono aiutarci dalla tentazione di tirarci fuori, di affidare il timone delle scelte e della guida pubblica alla casualità e non all’impegno di ognuno di noi nelle varie formazioni associative previste dalla nostra Costituzione. Dobbiamo liberare il futuro da interessi personali e tentativi di riedizioni di pratiche e culture politiche che hanno mortificato, diviso e gettato nella disgregazione l’Italia. Dobbiamo impegnarci contro ogni forma di degenerazione morale e politica e contro ogni rischio di populismo e autoritarismo.

E’ necessario che si torni ad incontrarci a riflettere insieme: in una parola a partecipare e ridare ossigeno a una democrazia in difficoltà. E un appello a chi ha il dovere costituzionale di amministrare e di garantire, soprattutto ora in una fase di forte debolezza dei cittadini, i diritti: non sono più tollerabili condotte che non siano trasparenti e responsabili; non è più sostenibile una situazione di disuguaglianza, di incertezza e di precarietà.

Spero che questo 25 aprile sia una festa grande, partecipata, celebrata in ogni angolo d’Italia, un’infinita piazza che rimetta in moto la speranza e ridisegni il volto del Paese nel solco delle sue radici autentiche mai troppo ricordate: l’antifascismo e la Resistenza da cui derivano la nostra Costituzione e la nostra Repubblica.

A tale proposito voglio ricordare da dove sono partite le radici di questo Paese.

La prima è una donna. Fu partigiana, comandante di compagnia, nome di battaglia Chicchi,  poi componente della Costituente: Teresa Mattei recentemente scomparsa. Teresa fu colei che diede il colore giallo all’8 marzo facendo adottare, quale simbolo della giornata internazionale delle donne,  la mimosa. Fu tra le fondatrici dell’ Unione delle Donne Italiane, famosa come UDI, che, ancora oggi, si batte per i diritti delle donne, non ancora completamente realizzati, e a loro difesa laddove vengono minacciati. Ma fu, soprattutto, tra coloro che collaborarono a scrivere l’articolo 3 della nostra Costituzione:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

La seconda, non meno importante, sono gli operai. Quegli operai che 70 anni fa, con gli scioperi di Torino del 5 marzo 1943, furono il primo segnale del movimento di popolo che portò alla Resistenza e alla caduta del fascismo. Passati gli anni del protagonismo politico e sociale sembrano scomparsi dalla scena. Oggi gli operai paiono dimenticati, ma esistono.  Ancora oggi, in tempo di crisi, resistono e cadono. Ricordandoli, quale simbolo del mondo del lavoro nella sua più larga accezione, mi urge dire:

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Viva l’Italia.







mercoledì 24 aprile 2013

QUALCOSA TIPO LIBERAZIONE - DI MASSIMO GRAMELLINI VICE DIRETTORE DE LA STAMPA - 24 APRILE 2013


Nell'esporre la sua netta contrarietà all'esecuzione di «Fischia il vento e infuria la bufera» durante le celebrazioni del 25 aprile, il commissario prefettizio di Alassio ha spiegato agli ultimi, stupefatti partigiani che la festa della Liberazione è apolitica. Non me ne voglia Sua Eccellenza, ma fatico a trovare una festa più politica dell’abbattimento di una dittatura. Politica in senso nobile e bello, al netto degli orrori reciproci che purtroppo fanno parte di ogni guerra civile.  

Oggi il modo più diffuso per commemorare la Liberazione consiste nel rimuoverla, annegandola in un mare di ignoranza. Un signore ha scritto scandalizzato dopo avere udito all'uscita da una scuola la seguente conversazione tra ragazzi: «La prof dice che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filo sovietica e trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. 

Grazie, partigiani.  

venerdì 19 aprile 2013

Il 25 aprile tutti in piazza per l’Antifascismo e la Costituzione - Appello dell'Anpi nazionale per la Festa della Liberazione

Il 25 aprile cade in un momento di gravissima crisi per il Paese: pesante instabilità economica, un livello occupazionale mai così basso, una situazione che costringe molte famiglie addirittura al livello della disperazione, uno scenario politico segnato da una devastante confusione, da una forte caduta di valori e infine da una diffusa rabbia sociale – derivante da una pesante incertezza del futuro – che spesso si traduce in atti e linguaggi di preoccupante violenza.

Il 25 aprile cade, quindi, a dettare un sentiero di profonda inversione di rotta e solida ricostruzione: diritti, partecipazione. Il sentiero della Costituzione - ancor ‘oggi disapplicata e ignorata quando non avversata - unica garanzia di un Paese libero, civile e cosciente, un Paese, è il caso di dirlo e sottolinearlo, normale. La festa della Liberazione cade a liberarci dalla tentazione di tirarsi fuori, affidare il timone delle scelte e della guida pubblica alla casualità; a liberare il futuro da interessi personali e tentativi di riedizioni di pratiche e culture politiche che hanno mortificato, diviso e gettato nella disgregazione l’Italia. E’ soprattutto un monito contro ogni forma di degenerazione morale e politica e contro ogni rischio di populismo e autoritarismo.

L’Italia ha bisogno di un governo democratico e stabile, di un Parlamento che funzioni nella serietà e nella trasparenza, di una politica “buona”, di organi di garanzia che fondino la loro autorevolezza sul richiamo ai valori della Costituzione nata dalla Resistenza.

Il 25 aprile è un grande richiamo alle cittadine e ai cittadini a tornare ad incontrarsi, riflettere insieme: in una parola a partecipare e ridare ossigeno a una democrazia sempre più calpestata. E un monito a chi ha il dovere costituzionale di amministrare e di garantire diritti:

non sono più tollerabili condotte che non siano trasparenti e responsabili; non è più sostenibile una situazione di disuguaglianza, di incertezza e di precarietà.

Auspichiamo una Festa grande, celebrata in tutti i Comuni, un’infinita Piazza che rimetta in moto la speranza e ridisegni il volto del Paese nel solco delle sue radici autentiche:

antifascismo e Resistenza. L’ANPI sarà in campo, e lavorerà a fianco delle cittadine e dei cittadini, per compiere questo decisivo percorso, con passione e rinnovata energia: l’ANPI è la forza dei suoi giovani, della sua nuova stagione per la democrazia.

Una stagione di piena e straordinaria Liberazione.

venerdì 12 aprile 2013

25 APRILE 2013 INIZIATIVE A TREZZO SULL'ADDA DELL'ANPI DI TREZZO E ALTRE ASSOCIAZIONI.

Invitiamo a partecipare a tutte le iniziative. Le nostre, che troverai in questa lettera, e a quelle organizzate dall’amministrazione a partire dalla messa del 25 aprile, alle ore 9 presso la chiesa parrocchiale, e al tradizionale corteo che, alle ore 10, partirà dal Monumento ai Caduti di piazza Nazionale.

Iniziative dell’ANPI di Trezzo sull’Adda

PRANZO DEL 25 APRILE ALL’INSEGNA DELLA PACE E DELLA SOLIDARIETA’

25 aprile 2013 presso  Libro Aperto p.za Nazionale 8 alle ore 12,30 – Costo di € 25 
Per prenotazioni Braiato Mario e Pirola M. Luisa – 3334071929 
ore 16 esibizione del coro “La cumbricula de Tress”

SPETTACOLO DEL GRUPPO SUONI E L’ANPI “FESTA DI APRILE”

Suoni e parole della Resistenza

26 aprile 2013 ore 21 presso la Società Operaia di Mutuo Soccorso

Piazza S. Stefano Trezzo Sull’Adda.

1 MAGGIO 2013 ORE 16,00 PRESSO LIBRO APERTO

Proiezione del documentario “La guerra del Grigna. La lotta partigiana sui monti di Esine”

e del cortometraggio “L’appuntamento” 

A cura dell’associazione Soldelladda, Auser e AIAL

Al termine verrà offerto un aperitivo


SENTIERI DI RESISTENZA – 5 MAGGIO 2013

Gita organizzata dall’associazione Soldelladda – Partenza da Trezzo sull’Adda alle ore 7,30 (chiesa parrocchiale p.za Nazionale) Mete:  Museo Fratelli Cervi a Gattatico (RE) e Brescello (RE) – Costo: 35 € per gli adulti e 20 € per i bambini comprensivi di visite, pullman e pranzo. Le prenotazioni vanno effettuate entro il 3 maggio 2013 chiamando il seguente numero 3394336062 (Diego Torri), oppure recandosi presso la Bottega del commercio equo e solidale di via Giovine Italia di Trezzo sull’Adda o scrivendo a: soldelladda@gmail.com

Trezzo sull’Adda, 12 aprile 2013



giovedì 11 aprile 2013

Appello dell'Anpi per il 25 aprile: ridiamo ossigeno alla democrazia

"Il 25 aprile - si rileva - cade in un momento di gravissima crisi per il Paese: pesante instabilità economica, un livello occupazionale mai così basso, una situazione che costringe molte famiglie addirittura al livello della disperazione, uno scenario politico segnato da una devastante confusione, da una forte caduta di valori e infine da una diffusa rabbia sociale – derivante da una pesante incertezza del futuro – che spesso si traduce in atti e linguaggi di preoccupante violenza".

"Il 25 aprile - si sottolinea - cade, quindi, a dettare un sentiero di profonda inversione di rotta e solida ricostruzione: diritti, partecipazione. Il sentiero della Costituzione - ancor’oggi disapplicata e ignorata quando non avversata - unica garanzia di un Paese libero, civile e cosciente, un Paese, è il caso di dirlo e sottolinearlo, normale".

"La festa della Liberazione - si spiega - cade a liberarci dalla tentazione di tirarsi fuori, affidare il timone delle scelte e della guida pubblica alla casualità; a liberare il futuro da interessi personali e tentativi di riedizioni di pratiche e culture politiche che hanno mortificato, diviso e gettato nella disgregazione l’Italia. E’ soprattutto un monito contro ogni forma di degenerazione morale e politica e contro ogni rischio di populismo e autoritarismo".

"L’Italia ha bisogno di un governo democratico e stabile, di un Parlamento che funzioni nella serietà e nella trasparenza, di una politica “buona”, di organi di garanzia che fondino la loro autorevolezza sul richiamo ai valori della Costituzione nata dalla Resistenza".

"Il 25 aprile - si ricorda - è un grande richiamo alle cittadine e ai cittadini a tornare ad incontrarsi, riflettere insieme: in una parola a partecipare e ridare ossigeno a una democrazia sempre più calpestata. E un monito a chi ha il dovere costituzionale di amministrare e di garantire diritti: non sono più tollerabili condotte che non siano trasparenti e responsabili; non è più sostenibile una situazione di disuguaglianza, di incertezza e di precarietà".

"Auspichiamo - conclude l'appello dell'Anpi - una Festa grande, celebrata in tutti i Comuni, un’infinita Piazza che rimetta in moto la speranza e ridisegni il volto del Paese nel solco delle sue radici autentiche: antifascismo e Resistenza. L’ANPI sarà in campo, e lavorerà a fianco delle cittadine e dei cittadini, per compiere questo decisivo percorso, con passione e rinnovata energia: l’ANPI è la forza dei suoi giovani, della sua nuova stagione per la democrazia. Una stagione di piena e straordinaria Liberazione".

Dal sito nazionale ANPI

mercoledì 13 marzo 2013

Il coraggio di respingere l'indifferenza e di sfidare il futuro

"Respingere l’indifferenza, la rassegnazione, la “distrazione”, in nome di quei che giovani che a partire dal 1943 ebbero il coraggio di riprendere in mano il loro destino e il loro futuro", questo in estrema sintesi il significato dell'intervento del presidente nazionale dell’ANPI, Carlo Smuraglia, pronunciato il 9 marzo, in occasione della manifestazione di apertura del 70° anniversario della Resistenza, a Torino, al Teatro Carignano, per ricordare gli scioperi del marzo 1943.
 
Si avvia qui, oggi, nella splendida cornice di un bellissimo e glorioso Teatro, gremito, un lavoro che ci impegnerà  per i prossimi tre anni, per ricordare degnamente l’anniversario della Resistenza. Un avvio felice, bisogna dire, poiché oltre al ricordo ed alla rievocazione degli scioperi del marzo 1943, che saranno tenuti  dal Sindaco di Torino, Fassino, da un illustre storico come il Prof. Della Valle e dal Presidente Nazionale dell’Anpi a nome di tutte le Associazioni partigiane, ci sarà anche un importante tavola rotonda con i tre Segretari Generali delle Confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, da cui dovrà nascere non solo un giudizio su quei fatti, ma anche un’attualizzazione.

E’ bene, infatti, che ci impegniamo tutti a fare in modo che le “celebrazioni” del 70° riescano ad evitare il connotato “liturgico” e di pura celebrazione. E’ doveroso, certamente, ricordare gli scioperi del ‘43, un atto di enorme coraggio e di grandissimo impegno politico; è doveroso anche ricordare le vittime, perché vi furono arrestati e deportati e non pochi persero la vita. Ma è altrettanto, e forse più, doveroso cogliere l’occasione per cercare di recare un contributo alla conoscenza ed  alla valutazione dei fatti, da molti – ancora oggi – ignorati, per una riflessione sul loro significato e valore, anche alla luce del presente e del futuro.

E’ stata, dunque, una scelta positiva quella di abbandonare il carattere celebrativo che troppe volte ha contraddistinto le nostre manifestazioni sulla Resistenza, per cercare di comprendere appieno ciò che è avvenuto in Italia tra il ’43 e il ’45 e per cogliere il ruolo rappresentato dagli scioperi, nel contesto complessivo della Resistenza; nel quale essi si inseriscono a buon diritto, anche perché quelli del marzo 1943 furono solo l’avvio di un movimento, che continuò con gli scioperi dell’estate, dell’autunno, dell’inverno del ’43, per poi arrivare ai grandissimi scioperi della primavera 1944, in concomitanza con le iniziative della Guerra di Liberazione e in particolare della Resistenza armata.

La Resistenza, infatti, è stata una vicenda straordinaria, forse la più bella e significativa della storia d’Italia; una vicenda che colpisce anche per la sua complessità, perché la lotta armata si coniugò con la resistenza non armata, nelle sue mille forme e manifestazioni, perché – per la prima volta nella storia – si trovarono a reagire alla dittatura fascista e poi alla occupazione tedesca, persone di varie ideologie, di varie professioni e mestieri, uomini e donne uniti nella stessa ansia di libertà e di democrazia.

Anche se è ormai pacifico che gli scioperi, anche quelli del marzo 1943, furono contrassegnati da una forte carica politica, è altrettanto sicuro che essi furono effettuati da tanti lavoratori diversi per idee e per consapevolezza, ma concordi nel cercare non solo la protesta ma anche il riscatto. Così, in tutta la Resistenza, poterono operare insieme comunisti, socialisti, cattolici, liberali, perfino monarchici e molti anche semplicemente contrari al fascismo e ansiosi di libertà.

E’ in questo contesto che si inserisce l’esplosione del 5 marzo 1943 e dei giorni seguenti, che lasciò stupiti e impreparati molti cittadini e molti fascisti, questi ultimi – poi – pronti a reagire con la violenza del potere.

Ed è questa la ragione per cui sono contrario a ridurre la Resistenza ai venti mesi che vanno dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 ed a valorizzare soltanto gli aspetti della lotta armata.

La Resistenza fu un insieme di atti e di comportamenti, armati e non, diretti a contrastare la prepotenza fascista, a liberare il Paese dalla dittatura e dall’occupazione tedesca, a preparare un futuro di democrazia. Ed è in questo complessivo contesto che vanno considerati anche gli scioperi, come parte integrante di un movimento di liberazione estremamente complesso  e ricco.

Di questo quadro, intendo sottolineare prima di ogni altra cosa un dato che è la costante di tutto ciò che è stata la Resistenza: il coraggio e la responsabilità delle scelte.
 
Per meglio capirlo, occorre partire dalla contestualizzazione degli scioperi del marzo 1943, che aprirono – appunto – una fase di lotta e di impegno civile che si concluse solo con l’insurrezione del 25 aprile.

Quando i lavoratori di Torino incrociarono le braccia, alle 10 del 5 marzo, da più di 20 anni erano spariti l’associazionismo, la solidarietà di classe, lo sciopero. Era dal 1926 e più ancora dal 1930, con l’avvento del nuovo codice penale, che lo sciopero era diventato un reato. E quale reato! Il codice penale lo puniva, soprattutto se collegato a finalità politiche, con pene  severe, che – considerata anche l’aggravante  dello stato di guerra e quella della finalità coercitiva dell’Autorità - prevedevano una sanzione fino a 2 anni di carcere per i partecipi e fino a 4 anni per i capi e promotori.
  Ma il fatto, inconcepibile per il fascismo, era di per sé inseribile anche fra i reati contro la personalità dello Stato; e in questo caso si passava dall’associazionismo sovversivo, punito da 5 a 12 anni, al disfattismo politico o economico, punibile con pena non  inferiore a 5 anni. La competenza non era più del Tribunale ordinario o della Corte di Assise, ma del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, (organismo più politico che giudiziario) o addirittura dei Tribunali Militari.

Ma c’è ancora di più: essere considerato sovversivo, allora, significava essere esposto a qualcosa di più immediato delle sanzioni penali: dopo l’arresto, l’invio ai campi di concentramento o di sterminio, dove il trattamento è a tutti noto.

Di fatto, chi entrò in sciopero, sapeva a quali conseguenze andava incontro; e non era un’ipotesi teorica, perché, in effetti, furono centinaia gli arrestati o deportati; e di essi, non pochi non fecero più ritorno.
  Eppure, al suono delle sirene, a partire dal 5 marzo, decine di migliaia di lavoratori entrarono in sciopero a Torino, a Milano, a Sesto S. Giovanni e in tanti altri luoghi (217 aziende e oltre 150.000 scioperanti, solo tra marzo e luglio).

Scioperi determinati da motivi economici, ma che contenevano qualcosa di molto più rilevante, dimostrando una frattura irreversibile rispetto alla continuità del regime fascista.
  E furono soprattutto i fascisti a coglierne l’aspetto politico. Fu il comandante dei C.C. Hazon, fu il questore di Torino, fu il Capo della polizia Senise a cogliere lo sfondo politico e, a loro dire, “sedizioso” degli scioperi, perfino al di là della consapevolezza dei singoli manifestanti.
D’altronde, le parole d’ordine “pane e pace”, come la richiesta di fine della guerra erano incompatibili con l’accettazione della sopravvivenza del regime fascista.

Ebbene, la caratteristica fondamentale di questi scioperi, fu – appunto – il coraggio, l’accettazione dei rischi gravissimi e facilmente prevedibili.

E’ questo che dobbiamo ricordare, prima di ogni altra cosa, anche per far conoscere una realtà spesso dimenticata e sottovalutata, soprattutto da parte di generazioni abituate a sentire parlare dello sciopero come di un diritto e ad esercitarlo liberamente.

Un coraggio che accomuna queste azioni che oggi ricordiamo, a tutto il resto della Resistenza e colloca gli scioperi all’interno di essa.

L’impostazione che a lungo ha prevalso e di cui ho fatto cenno, pur comprensibile, non coglie tutti gli aspetti della Resistenza ampiamente intesa, che è composta da tutto ciò che è stato reazione e rivolta contro il fascismo e impegno contro l’occupazione nazista e contro la R.S.I., e comprende un insieme di atti e di comportamenti che hanno tutti alla base il coraggio delle scelte e la responsabilità.
  E’ coraggio quello di chi intraprese e condusse la resistenza armata, ben conoscendo i propri limiti di preparazione e di esperienza militare e ben conoscendo l’enorme disparità di mezzi, strumenti ed uomini rispetto ad un esercito attrezzato e organizzato come quello tedesco. Eppure, quei combattenti – che spesso pagarono il loro coraggio con la morte – non esitarono ad affrontare i rischi, con la ferma  volontà di ottenere la liberazione del Paese, a qualunque costo ed a qualunque prezzo.

E’ coraggio quello degli scioperanti del ‘43, consapevoli dei gravi rischi cui andavano incontro.

E’ coraggio quello dei giovani renitenti  alla leva, che, al richiamo della R.S.I., si trasformarono in “sbandati” per sottrarsi all’arresto ed alle peggiori conseguenze e, molti, finirono poi per aderire alle bande che intanto si erano formate nelle montagne, oppure operavano nelle città.
E’ coraggio quello dei circa 600.000  militari che, dopo l’8 settembre, rifiutarono di aderire all’invito dei tedeschi e dei repubblichini a collaborare e in effetti, furono trattati – molti – non come prigionieri di guerra, ma come schiavi, alcuni finirono nei lager, e molti non fecero ritorno.
  E’ coraggio quello del complesso di azioni e comportamenti che è stato giustamente inserito non già nel concetto di resistenza passiva, troppo riduttivo, ma in quello di “resistenza non armata”, che comprende tutti coloro che rifiutarono la guerra e contribuirono alla liberazione nei mille modi che la storia ci ricorda: dalle donne che, non solo combatterono con le armi, ma affrontarono il pericolosissimo mestiere di staffetta o furono amorevoli soccorritrici di prigionieri e feriti e misero in campo – nelle repubbliche partigiane - un complesso di “intendenza”, come scrivono alcuni storici, che andava al di là di qualunque esperienza del passato, ai contadini che spesso aiutarono i partigiani ben sapendo che se li avessero scoperti, tedeschi e fascisti, li avrebbero fucilati, e incendiate le loro case; ai sacerdoti che cercarono di difendere le popolazioni dalle violenze e brutalità, pagando spesso con la loro vita.

Questa è, dunque, la Resistenza, che oggi dobbiamo  ricordare nella sua interezza, proprio partendo da una vicenda, come quella degli scioperi della primavera del ‘43, così diversa dalla lotta armata, ma così ricca di implicazioni, di significati, di valori.

Questa è la Resistenza che dobbiamo non solo ricordare, ma prima di tutto far conoscere, contro ogni forma di negazionismo, di revisionismo o anche di semplice sottovalutazione. Una Resistenza da ricordare ad un Paese smemorato, che troppo spesso preferisce dimenticare o rifiuta di conoscere anziché menarne vanto ed esserne orgoglioso, come accade, invece, in ogni Paese a riguardo delle pagine più straordinarie della sua storia.
  Perchè da questa Resistenza nasce non solo un ricordo e neppure solo una memoria che stenta a diventare collettiva, ma viene un grande insegnamento, di cui dovremmo fare tesoro. In quel coraggio delle scelte, degli scioperanti come degli altri, armati o non armati, c’è la forza di un esempio. Se negli scioperanti, così come in tutti i combattenti per la libertà, gli internati militari, le donne, i contadini, i sacerdoti, ci fosse stato un calcolo sui rischi, la Resistenza non ci sarebbe stata, il nostro Paese si sarebbe coperto di disonore ed a questo avremmo aggiunto il discredito di essere stati liberati da altri.

Quel coraggio, che non è fatto di spregiudicatezza e di sterile ardimento,  ma di consapevolezza e di volontà politica, dev’essere per noi un simbolo ed un incitamento.
  Viviamo in tempi difficili e duri e stiamo attraversando una crisi che assume sempre di più caratteri drammatici e preoccupanti, riguardando – insieme – l’economia, la vita sociale, la politica e la stessa democrazia. Ma ne abbiamo viste tante, in questo dopoguerra, dagli attacchi alla Resistenza e alla Costituzione, alle iniziative e manifestazioni neofasciste, ai tentativi di  golpe, alle stragi di cittadini inermi, fino al terrorismo. E siamo riusciti a vincere le difficoltà, a superarle, con fatica, ma ritrovando ogni volta la solidarietà, la volontà di libertà e di democrazia, l’impegno collettivo.

Oggi, nell’affrontare le dure difficoltà di una crisi gravissima e l’incertezza che colpisce intere generazioni e soprattutto i giovani, dobbiamo riferirci a quegli esempi, richiamarci alle scelte ed al coraggio di chi seppe resistere, ai combattenti per la libertà, ai valori che li ispiravano  e che poi sono stati trasfusi in  una Costituzione molto avanzata, ma troppo esposta ad attacchi, insidie e pericoli. Nelle peggiori difficoltà, nei momenti più difficili, dobbiamo pensare a quegli uomini , a quelle donne che, a partire dal marzo 1943, ebbero il coraggio di riprendere in mano il loro destino e il loro futuro, assumendo le proprie responsabilità e considerando l’impegno civile e l’obiettivo finale superiori di gran lunga ai rischi che potevano correre.

In loro nome dobbiamo respingere l’indifferenza, la rassegnazione, la “distrazione” che ancora permea troppi cittadini del nostro Paese e ad esse contrapporre la volontà di riscatto, per uscire dalla degenerazione economica, sociale e politica in cui versa il nostro Paese. Dobbiamo anche ricordare che la Resistenza non è nata solo da una sterile protesta contro i fascisti e i tedeschi, ma è stato coraggioso impegno, sforzo di volontà per compiere scelte decisive e vincenti.

E’ con questa ispirazione che dobbiamo procedere alle celebrazioni del 70° anniversario della Resistenza; restando ancorati fermamente al passato, a quegli anni straordinari, a quel movimento complesso che abbiamo definito “Resistenza”, a quelle aspirazioni non solo alla libertà, ma anche alla democrazia; ma nello stesso tempo dobbiamo sapere guardare al futuro, con il coraggio e il senso di responsabilità di chi si rende conto di avere un grande debito nei confronti di coloro che si sono impegnati per la nostra libertà, e un forte dovere verso quanti , da noi, si aspettano di ricevere sicurezza, libertà, uguaglianza e democrazia. Lo dobbiamo soprattutto ai giovani, che si trovano a vivere in una società ingiusta ed hanno il diritto di aspirare ad un presente e ad un futuro migliore di quello attuale e, infine, più degno di essere vissuto.

 

Carlo Smuraglia Presidente ANPI Nazionale

lunedì 4 marzo 2013

CARLO SMURAGLIA, PRESIDENTE NAZIONALE ANPI, SULLE ELEZIONI 2013.

‎"Occorrerà che il Governo che si formerà (almeno lo spero) nel prossimo periodo, su basi serie e coerenti e non su impossibili ed inaccettabili connubi con chi reca le maggiori responsabilità della degenerazione del Paese, adotti alcuni provvedimenti urgenti che vadano nella direzione per la quale si sono espressi tanti cittadini (ad esempio, modificare questa legge elettorale, fare una legge vera contro la corruzione, ripristinare la norma sul falso in bilancio, prendere in seria considerazione il tema del reddito minimo garantito, reperendo, ovviamente, i fondi necessari, rilanciare le attività produttive per favorire l'incremento della occupazione e al tempo stesso dei consumi e così via).

Noi dovremo ribadire, ancora una volta, che i valori a cui ispirarsi sono sempre e solo quelli costituzionali, intesi correttamente e senza deviazioni; e dovremo sottolineare il fatto che la democrazia rappresentativa è un cardine fondamentale del sistema, da cui non si può prescindere e che anzi bisogna valorizzare. Una democrazia che deve essere fatta di partecipazione, di divisione dei poteri, di rispetto delle regole da parte di tutti, a cominciare da coloro che rivestono cariche pubbliche. Una democrazia in grado di respingere ogni tentazione populistica ed autoritaria e di sbarrare la strada ad ogni sogno revisionista o nostalgico, improponibile sempre, ma più che mai in un momento in cui è necessario e obbligatorio proiettarsi verso un futuro migliore".

Carlo Smuraglia - Presidente Nazionale ANPI