giovedì 25 aprile 2013

DISCORSO DEL 25 APRILE 2013 DEL PRESIDENTE ANPI DI TREZZO SULL’ADDA





Il 25 aprile cade in un momento di gravissima crisi per il Paese: pesante instabilità economica, un livello occupazionale mai così basso, una situazione che costringe molte famiglie addirittura al livello della disperazione, uno scenario politico segnato da una devastante confusione, da una forte caduta di valori e infine da una diffusa rabbia sociale – derivante da una pesante incertezza del futuro – che spesso si traduce in atti e linguaggi di preoccupante violenza.

Siamo oggi  qui ad auspicare e a cercare di realizzare, con la partecipazione e l’impegno individuale nella vita quotidiana,  un sentiero di profonda inversione di rotta e solida ricostruzione nel  sentiero tracciato dalla Costituzione - ancor ‘oggi disapplicata e ignorata quando non avversata - unica garanzia di un Paese libero, civile e cosciente.

L’Italia ha bisogno di ritrovare i punti fermi di una democrazia normale. Un Parlamento che funzioni nella serietà e nella trasparenza, di una politica “buona”, di organi di garanzia che fondino la loro autorevolezza sul richiamo ai valori della Costituzione nata dalla Resistenza.

I valori  per i quali coloro, i cui nomi sono impressi in quella lapide e su molte altre in Italia e non solo, hanno combattuto e sono morti. Quei valori  devono aiutarci dalla tentazione di tirarci fuori, di affidare il timone delle scelte e della guida pubblica alla casualità e non all’impegno di ognuno di noi nelle varie formazioni associative previste dalla nostra Costituzione. Dobbiamo liberare il futuro da interessi personali e tentativi di riedizioni di pratiche e culture politiche che hanno mortificato, diviso e gettato nella disgregazione l’Italia. Dobbiamo impegnarci contro ogni forma di degenerazione morale e politica e contro ogni rischio di populismo e autoritarismo.

E’ necessario che si torni ad incontrarci a riflettere insieme: in una parola a partecipare e ridare ossigeno a una democrazia in difficoltà. E un appello a chi ha il dovere costituzionale di amministrare e di garantire, soprattutto ora in una fase di forte debolezza dei cittadini, i diritti: non sono più tollerabili condotte che non siano trasparenti e responsabili; non è più sostenibile una situazione di disuguaglianza, di incertezza e di precarietà.

Spero che questo 25 aprile sia una festa grande, partecipata, celebrata in ogni angolo d’Italia, un’infinita piazza che rimetta in moto la speranza e ridisegni il volto del Paese nel solco delle sue radici autentiche mai troppo ricordate: l’antifascismo e la Resistenza da cui derivano la nostra Costituzione e la nostra Repubblica.

A tale proposito voglio ricordare da dove sono partite le radici di questo Paese.

La prima è una donna. Fu partigiana, comandante di compagnia, nome di battaglia Chicchi,  poi componente della Costituente: Teresa Mattei recentemente scomparsa. Teresa fu colei che diede il colore giallo all’8 marzo facendo adottare, quale simbolo della giornata internazionale delle donne,  la mimosa. Fu tra le fondatrici dell’ Unione delle Donne Italiane, famosa come UDI, che, ancora oggi, si batte per i diritti delle donne, non ancora completamente realizzati, e a loro difesa laddove vengono minacciati. Ma fu, soprattutto, tra coloro che collaborarono a scrivere l’articolo 3 della nostra Costituzione:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

La seconda, non meno importante, sono gli operai. Quegli operai che 70 anni fa, con gli scioperi di Torino del 5 marzo 1943, furono il primo segnale del movimento di popolo che portò alla Resistenza e alla caduta del fascismo. Passati gli anni del protagonismo politico e sociale sembrano scomparsi dalla scena. Oggi gli operai paiono dimenticati, ma esistono.  Ancora oggi, in tempo di crisi, resistono e cadono. Ricordandoli, quale simbolo del mondo del lavoro nella sua più larga accezione, mi urge dire:

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Viva l’Italia.







Nessun commento:

Posta un commento